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Qualche mese fa ho avuto l’occasione di ascoltare una conferenza tenuta da don Carlo Rocchetta, sacerdote che si occupa della Casa della Tenerezza - www.casadellatenerezza.it - luogo d’accoglienza e formazione per coppie e famiglie a Perugia. Mi hanno commosso la convinzione e la concretezza con le quali parlava appunto della tenerezza. La sua relazione ha preso le mosse da San Paolo (lettera ai Galati 5,13). Nelle sue lettere a più riprese tratta il tema della libertà e del servizio, realtà apparentemente in antitesi, che l’apostolo riesce a conciliare, alla luce della rivelazione di Cristo, nella dimensione dell’amore. La parola fondamentale rimane amore, poiché Dio è Amore, Gesù ci ha salvati per amore e ci riveste d’amore tramite lo Spirito. È in questo amore che libertà e servizio si avvicinano, corrono paralleli e costituiscono le due carreggiate del cammino cristiano. La libertà è la capacità, mediante l’amore, di mettersi al servizio gli uni degli altri. Quindi non si tratta di un amore astratto, di un’energia o di un’idea, ma di qualcosa che s’incarna nella quotidianità. L’amore prende corpo nel servizio, in un servizio caldo, accorato, cioè nella tenerezza. Essa si esprime nello sguardo accogliente e profondo, nel saluto personale e cordiale, nell’ascolto disponibile e attento, nella parola sincera e gentile, nell’aiuto pronto ed efficace, nella cura attenta e costante, nel gesto d’affetto che sostiene e incoraggia,… In altre parole la tenerezza fa sì che si percepisca l’amore, che ci si accorga di essere amati e si possa gioirne. Il tutto nel rispetto reciproco, nella condivisione, nel dono. Un servizio dunque che non è obbligo rigido o dovere freddo, ma è carico di sensibilità affettiva e attenzione amabile alla persona.

Questa parola è molto cara a papa Francesco. Già all’inizio del suo pontificato, nella splendida omelia su San Giuseppe (13 marzo ’13) così parlava: “E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”.

Tenerezza vista come sentimento forte, che non scade in tenerume, sentimento debole, cioè svenevolezza, fatto da atteggiamenti affettati, dolciastri. Tenerezza è avere un cuore plasmato su quello di Dio. Gesù dice ai suoi discepoli: “imparate da me che sono dolce e umile di cuore”, comporta quindi la capacità di passare da un cuore di pietra a un cuore di carne, la capacità di avere un cuore amante, misericordioso, pronto a perdonare, compassionevole, che non giudica.

Più volte tenerezza risuona nell’enciclica Amoris Letitiae. È uno dei vocaboli da lui più usati insieme a misericordia. La tenerezza è il fiorire della misericordia. Il papa stesso ce lo testimonia nei gesti, ad esempio quando abbraccia i disabili, accarezza i bambini, bacia i piedi ai detenuti dopo averli loro lavati. È proprio in virtù di questa tenerezza che esorta la Chiesa ad essere “madre”, cioè attenta ai bisogni e accogliente, affinché si prenda cura delle lacerazioni, delle sofferenze e delle inquietudini. Il nostro tempo è tanto carico di tensione, quanto avaro di tenerezza. Tutti, sposi, genitori, presbiteri, consacrati, laici, siamo invitati a coniugare l’amore con la forza rivoluzionaria della tenerezza, cioè occorre avere la preoccupazione di far sentire le persone amate, apprezzate. La famiglia anzitutto è chiamata ad essere comunità di tenerezza. Essa è dare con gioia, suscitare nell’altro la gioia di sentirsi amato, volgersi con attenzione squisita anche ai limiti dell’altro, essa aiuta a superare i conflitti interiori e generazionali. Ogni uomo, ogni donna porta in sé questo anelito primordiale alla tenerezza, la desidera e ne ha bisogno, siamo esseri di tenerezza. Don Carlo ama citare Eric Fromm, che nel suo libretto Arte di amare, scrive che fra tutti i sentimenti che la persona umana ha sviluppato lungo tutta la sua storia, non ne esiste uno che superi la tenerezza come qualità umana e umanizzante. La tenerezza è espressione di umanità, in opposizione alla brutalità, all’indifferenza e all’insensibilità.

Per riassumere quanto scritto ci viene in aiuto il dizionario etimologico Zanichelli, secondo cui il sostantivo tenerezza deriva dalla radice “ten”, che comporta tre accezioni:

  • Tenere: contenere, accogliere, abbracciare
  • Tendere: donare, proiettarsi verso l’altro, desiderare il bene dell’altro, donare gratuitamente, aprirsi al servizio gli uni degli altri, ad esempio nella coppia questa pretesa “cosa mi stai dando tu perché io sia felice?” si ribalta nella domanda “cosa sto facendo io perché tu sia felice?”
  • Tenue: leggerezza, condividere amabilmente, essere capaci di affetto, di far sentire bene l’altro

Se vogliamo essere testimoni del Vangelo siamo chiamati ad essere realizzatori della cultura della tenerezza.