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Dimmi, Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria?

Forse, un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio, con l’anfora sul capo e con la mano sul fianco snello come lo stelo di un fiordaliso?

O forse, un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte sotto l’arco della Sinagoga?

O forse, un meriggio d’estate, in un campo di grano, mentre, abbassando gli occhi splendidi per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all’umiliante mestiere di spigolatrice?

Poi, una notte, hai preso il coraggio a due mani, sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta, e le hai cantato, sommessamente, le strofe del Cantico dei Cantici.

È venuta sulla strada,facendoti trasalire.

Ti ha preso la mano nella sua e ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto. Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvé, di un Angelo del Signore, di un Mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo, di un progetto più grande dell’universo e più alto del firmamento, che vi sovrastava.

Fu allora che le dicesti tremando: “Per te, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te”.

Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente.

E io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sull’onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura.

Lei ha avuto più fede, tu hai avuto più speranza.

La carità ha fatto il resto, in te e in lei.

“La carezza di Dio, lettera a Giuseppe”, Tonino Bello