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Nell’enciclica Redemptoris Mater Giovanni Paolo II ha scritto che “nell’espressione Beata colei che ha creduto, pronunziata da Elisabetta, possiamo trovare quasi una chiave che ci schiude l’intima realtà di Maria”.

Le parole di Elisabetta non sono, strettamente parlando, un cantico, ma, contengono al loro interno un frammento di inno costruito su una benedizione e una beatitudine : “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore!”. Fissiamo allora la nostra attenzione su questa preghiera, la prima che sia mai risuonata sulla faccia della terra. La prima strofa dell’inno è costituita da una benedizione che nella Bibbia e nell’antico Oriente era legata soprattutto alla fecondità. Alla luce della maternità divina di Maria oggi poniamo davanti a noi ogni maternità umana, segno sempre grande della vita che Dio effonde nel mondo e nella storia.

Alla benedizione segue una beatitudine, la prima del Vangelo. Si tratta di una formula che spesso risuona nella Bibbia:“Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie…” (Salmo 128,1-2). Il contenuto della beatitudine indirizzata a Maria è espresso nell’originale greco con un participio che ha quasi la funzione di una definizione: “la credente”. Maria è beata non solo perché genera fisicamente il Cristo, come intenderà quella donna della folla: “Beato il grembo che ti ha portato!”. Ma, come replicherà Gesù, è beata perché “ha ascoltato la parola di Dio e l’ha messa in pratica” (Luca 11,27-28).

Maria è, quindi, vicina a noi nel viaggio combattuto della fede, negli istanti esaltanti e in quelli amari. E’ suggestivo che uno dei modelli più famosi di icona mariana dell’Oriente è quello cosiddetto dell’Odighìtria, cioè di Maria “che indica la via” della fede nel Cristo suo Figlio.