Anno 1944: PIERO CHIARA A SALORINO INCONTRA E FA AMICIZIA CON DON GIUSEPPE SPINELLI
Piero Chiara, scrittore di confine, è nato a Luino nel 1913 e morto a Varese nel 1986.
Non tutti sanno che lo scrittore, nel 1943, durante il periodo “fascista”, si rifugia in Svizzera in seguito a un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale, per atti di ostilità verso il partito fascista. Egli vivrà da internato in varie località delle Svizzera interna per poi approdare a Castel San Pietro, su interessamento di Monsignor Leber della Curia luganese, e più precisamente a Loverciano nella ex villa Turconi, messa a disposizione dalla curia per internati religiosi e intellettuali.
Anche dopo la liberazione, Piero Chiara restò in Svizzera, che elesse a sua seconda patria, insegnando storia e filosofia al liceo italiano dello Zugerberg; scrisse articoli anche per il Corriere del Ticino e il Giornale del Popolo. Durante il suo soggiorno a Loverciano Chiara fece più volte visita a Salorino in modo speciale alla parrocchia, dove si fece amico del parroco don Giuseppe Spinelli; in un suo libro “Ricordi Svizzeri” racconta una di queste visite.
Racconto: Esilio e preti
Fu a Loverciano, che arrivando sulla fine dell’estate trovai due preti, il più anziano era un parroco della Valtellina, fuggito per scampare alle rappresaglie fasciste a cagione di qualche complicità con i partigiani, l’altro era emiliano di Modena, don Forcelli sui 40 anni, pieno di vita e gioia di vivere, buona forchetta e tra le altre qualità, cosa non comune nei preti, abilità nel gioco; vinceva sempre, e sorridendo intascava la vincita, dicendo “Giocar bene , è avere sempre un pezzo di pane… in tasca”
Venuto a sapere che con alcuni compagni andavo a trovare un amico, il vecchio prete di Salorino, a qualche chilometro da Loverciano, don Forcelli volle accompagnarci. Rendere omaggio a un confratello, disse:- era suo dovere- Spiegai a don Forcelli che Don Giuseppe Spinelli, parroco di Salorino si avvicinava ai novant’anni e che l’avremmo trovato in chiesa, ove passava ore nel suo impenetrabile regno, l’organo e lui presente nessuno osava mettere le mani su quella tastiera. Sull’organo ci stava di giorno e di notte, a lume di lanterna, ma stavolta no: era in cima a una lunga scala, intento a ripassare le dorature dei cornicioni. Sentendo chiasso di sotto, scese, ci riconobbe, fu contentissimo che portassimo con noi un prete, e ci condusse allegro in canonica.
Al nuovo visitatore don Forcelli, fece ammirare la riproduzione perfetta del tempio di Gerusalemme, a noi già notissima. L’aveva fatta lui una quarantina d’anni prima, al traforo, con grande perizia, pazienza e precisione. Mettendo l’occhio alla porta d’entrata del tempio, si vedeva in fondo, il brillare del “Sancta Sanctorum” illuminato dall’alto da una apposita apertura. Gli fece provare anche la scala della cantina, modificata da lui a scalini alternati alti e bassi, secondo il suo difetto, leggermente zoppicante fin dalla gioventù, poggiando la gamba corta secondo convenienza per non squilibrarsi.
Dopo avergli fatto ammirare tutte queste e altre stranezze, il venerando curato, pregò il confratello d’un grosso favore, che lo liberasse, dalle troppe messe per i defunti che aveva in sospeso dal Triduo scorso. Don Forcelli fu subito d’accordo e intascò subito l’importo dovuto che era di 2 franchi per ogni messa che avrebbe celebrato.
Alla partenza, dopo visitato il giardino e ammirato la bellezza del paesaggio, Don Forcelli si ritrovò carico di pere e mele raccolte nell’orto, di una mezza dozzina di uova fresche, di un paio di libri che non avrebbe più restituito e con i 20 franchi per i suoi bisogni, ma con la promessa che sarebbe ritornato a trovare quel confratello, così amabile e caritatevole; ce ne fossero di persone così, difficile trovarne altrove…